Il treno che va in Francia (come)

(Terzo post che ha come argomento il mio nuovo romanzo, i primi due li trovate qui e qui).
Nel frattempo il libro è uscito, qui la sua pagina sul sito dell’editore.
In un libro la forma ovviamente conta, quindi in questo post parlerò di come è scritto Il treno che va in Francia e del perchè ho deciso di scriverlo così.
L’idea di partenza veniva da un romanzo di Manuel Vazquez Montalban, Gli allegri ragazzi di Atzavara, costruito con una successione voci narranti in cui ognuna non partiva a raccontare da dove si era fermata la precedente ma da un po’ prima, rinarrando alcuni episodi, ovviamente da un punto di vista differente. Il romanzo, ambientato alla fine del Franchismo, era una critica feroce della sinistra catalana dell’epoca, e Vazquez Montalban usava questa costruzione per rendere più evidenti le ipocrisie dei personaggi, fondamentalmente per farli a pezzi. Ovviamente non era questo l’effetto che volevo ottenere nel mio, al contrario volevo sottolineare come nonostante innegabili differenze i partecipanti alla resistenza italiana avevano qualcosa che li univa davvero. Per arrivare a questo mi era evidente che dovevo usare diversamente le sovrapposizioni dei racconti.
Oltre a questo, mano a mano che mi documentavo, trovavo sempre più cose che avrei voluto raccontare, ma che temporalmente si collocavano al di fuori del periodo interessato dalla battaglia della ferrovia, anche a distanza di anni, e che comunque anche da quella distanza riuscivano a mettere in luce aspetti collegati alla Resistenza in Valsusa che mi interessava raccontare.
Alla fine la soluzione che mi ha convinto è stata quella di estendere oltremodo i periodi narrati, portando le sovrapposizioni in mezzo alle diverse storie e non non solo ai loro margini, e ad interessare solo una piccola parte del periodo narrato da più voci, e non tutto lo stesso (o tutti i suoi aspetti significativi), come ne Gli allegri ragazzi. Lo scopo era quello di non negare le contraddizioni, ma riportarle ad una misura più corrispondente alla realtà, e creando contemporaneamente dei collegamenti che tenessero insieme capitoli che avevano si una robusta base comune nella storia della battaglia, ma che poi tendevano ad estendersi in direzioni diverse.
Alla fine ne è venuto fuori un risultato che ricalcava lo schema da cui ero partito solo in parte, e che per altri versi riprendeva quello, più tradizionale, di un classico della fantascienza come Anni senza fine. Quanto questa costruzione funzioni lo lascio decidere a voi dopo la lettura.