Adattamento

Ieri parlavo con un mio amico (ovviamente al telefono, abita dall’altra parte di Torino, in altri tempi arrivare a casa sua richiedeva una ventina di minuti di macchina, fatta a piedi senza correre ci vorrebbero un paio d’ore, ma oggi come oggi non sarebbe più lontano se abitasse in Australia), e lui mi diceva che dopo un primo periodo molto faticoso si sta adattando al nuovo sistema di vita, che certo gli manca la possibilità di correre o di andare in montagna, o al cinema, o a cena con gli amici, ma che d’altra parte la nuova organizzazione del lavoro (anche lui come me telelavora) gli risparmia alcune parti dello stesso che erano quelle che lo infastidivano di più.
La prima reazione quando gli ho sentito dire questo è stata di orrore, “cosa gli è successo?”, poi ho pensato che forse semplicemente lui, essendo più logico di me, ha razionalizzato la sensazione di fatica, di volersi lasciar andare alla deriva, che tanto spesso anch’io provo, e a cui a tratti cedo, e a cui cederei più spesso se non avessi responsabilità da genitore. Forse semplicemente lui ha espresso in parole quello che io penso e/o faccio, ma questa razionalizzazione ed esplicitazione mi pare comunque un ulteriore, e forse definitivo, passo verso l’abbandono a cui io ancora cerco di sottrarmi (un tentativo di cui anche questo post fa parte).