I buoni

Beacause in 1985
blind faith in your leaders, or in anything,
will keep you killed

Bruce Springsteen
(introduzione a “War”- Live ’75-’85)

Nelle parole di Springsteen c’è la più immediata (parola che per una volta non è sinonimo di banale) delle possibili letture di “I buoni” di Luca Rastello.
Intorno al libro è stata costruita una grossa polemica basata sull’ipotesi che il don Silvano del libro sia identificabile con don Luigi Ciotti, con tutte altre associazioni personaggio-persona che da questa possono discendere. Come sempre questo tipo di polemica risulta piuttosto sterile, se il romanzo parlasse solo di questo avrebbe ben poco interesse, se invece è un libro che val la pena di leggere (e lo è, nonostante un finale a mio giudizio decisamente non all’altezza del resto) è perchè racconta di più di un singolo caso, per quanto importante, più di una siongola organizzazione, per quanto famosa.
Stilisticamente la caratteristica fondamentale de “I buoni” è il durissimo e perfetto cinismo con cui l’autore racconta tutte le vicende (ad eccezione del finale, un po’ rovinato da un tentativo di mitigare in qualche modo la durezza della storia che lo fa apparire un po’ posticcio), permettendosi di affondare le sue acuminate parole fino a dissezionare le altre parole, quelle della retorica che i protagonisti del libro utilizzano per raggiungere i propri scopi.
Al centro del romanzo sono le contraddizioni delle organizzazioni di volontariato, in particolare di quelle che mettono al centro della loro azione il concetto di legalità, visto come la massima forma realisticamente attuabile di rispetto per gli altri, ma che poi al loro interno hanno ben poco rispetto per i propri collaboratori, e più in generale per le persone con cui vengono in contatto. Una contraddizione che si fa sempre più stridente al crescere della dimensione e dell’importanza, anche economica, di queste associazioni, e quindi all’aumentare del potere che esse gestiscono, e degli appetiti che questo potere stimola. Il potere è sempre potere, non importa in nome di chi o cosa viene gestito, e la sua concentrazione non è mai positiva, soprattutto quando vengono richieste e attuate misure eccezionali in nome di una presunta eccezionalità della situazione presente. Presente sempre, in ogni momento, realizzando uno stato di eccezione continua in cui un uomo di superiori capacità si deve far carico del peso di ogni scelta, agendo sempre per il bene della collettività, un bene che solo lui, nella sua eccezionalità, è capace di intuire e costruire. E se qualche pedina umana rimane schiacciata dall’ingranaggio che lui aziona è certo un dispiacere, ma anche un sacrificio inevitabile per raggiungere il BENE superiore che solo pochi eletti sanno vedere.
A pensarci bene, siamo sicuri che il modello di cui parla, con intensità leggermente differenti da caso a caso, non sia adottato in modo molto più diffuso che non nelle sole ONG?