Marinaleda, provincia di Utopia?

Ieri sera nei locali della ex Diatto c’è stato un interessante incontro con Esperanza del Rosario Saavedra Martin, vicesindaco del comune di Marinaleda, che ci ha raccontato delle politiche che il suo comune porta avanti da ormai più di trent’anni. Già dalle prime elezioni libere dopo la morte di Franco (1979) il CUT, pur essendo un sindacato, presentò una lista, e vinse. Da allora in ogni elezione nel comune ha riportato la maggioranza assoluta, oggi nel consiglio comunale di Marinaleda siedono 9 eletti del CUT e 2 del partito socialista. A giudicare dai fatti non pare che il potere abbia dato loro alla testa.
A Marinaleda quasi tutti i terreni coltivabili erano proprietà di pochi latifondisti che li coltivavano ad olive. Questo comportava che per i braccianti ci fosse lavoro per non più di due-tre mesi l’anno, per il resto del tempo dovevano emigrare per lavori stagionali altrove, non di rado addirittura all’estero. Per risolvere questo problema il CUT occupò le terre di un marchese (pare caro amico di re Juan Carlos). Dopo una lunga lotta, e sfruttando contemporaneamente una legge particolare sull’irrigazione ed il fatto di essere gli amministratori del comune, il sindacato riuscì a riscattare al comune la proprietà delle terre occupate e le diede in gestione ad una cooperativa vera.
Perchè vera? Bè, per esempio perchè sceglie le coltivazioni anche in baso al fatto che possano dare lavoro lungo tutto l’arco dell’anno (per quanto possibile, il clima della montagna andalusa non è ottimale per l’agricoltura), cosicchè ad oggi i braccianti riescono a lavorare a Marinaleda per 7-10 mesi l’anno. O ad esempio è una cooperativa vera perchè tutti gli stipendi, da quello del direttore a quello del bracciante, sono uguali, 1200 euro al mese. Oggi i giovani di Marinaleda che si trasferiscono per andare all’università in gran parte una volta completati gli studi tornano per restare.
Dopo quella del lavoro la seconda urgenza era quella della casa. Gente sotto i ponti non ce n’era, ma alloggi in cui, per necessità, convivevano anche quattro generazioni si, e allora si dovevano costruire nuovi alloggi. Il comune però non aveva soldi, avendo ereditato dalle amministrazioni precedenti un passivo piuttosto pesante, ma anche per questo si trovò la soluzione. I pochi fondi forniti dal governo andaluso vennero spesi solo per comprare i terreni e i materiali da costruzione, la manodopera venne fornita dai futuri abitanti degli alloggi. Una volta che si otteneva il finanziamento per un certo numero di alloggi si decidevano gli assegnatari, ma non le assegnazioni, tutti lavoravano agli alloggi di tutti, senza sapere quale sarebbe stato il proprio fino a quando non erano tutti completi. In trent’anni a Marinaleda (2650 abitanti) sono stati costruito così oltre 350 alloggi, tutti da 80 mq più patio. Gli assegnatari per restituire il finanziamento pagano un affitto di 15 euro al mese (no, non è un errore di battitura, voglio proprio dire quindici). Ad oggi a Marinaleda l’età media degli assegnatari dei nuovi alloggi è sotto i trent’anni.
Ultimo, ma non da meno, il metodo. A Marinaleda tutto viene deciso nelle assemblee, prima locali e poi cittadine, il consiglio comunicale non fa altro che dare veste ufficiale alle decisioni e gli amministratori le portano al livello di dettaglio.
Bello vero? Bello ma lontano, si potrebbe dire. Forse si, ma non è questo il punto.
Il punto è che Marinaleda è la risposta (reale e maledettamente concreta) a chi dice che non ci sono alternative al modello attuale. Il motto sulla bandiera di Marinaleda è “Una utopia hacia la paz” (un’utopia verso la pace), trent’anni della loro storia dimostrano che è un’utopia realizzabile.