#RossaComeUnaCiliegia – giorno I

frecciaSx Prologo

Parigi, 5 luglio 1870

Nel luglio parigino l’afa è un fastidio costante. Nel villaggio in cui nacqui quarant’anni fa il caldo non mancava di farsi sentire, ma non lo faceva in modo così opprimente, non giungeva mai a rendere il respiro tanto faticoso. Qui è come se l’aria per arrivare ai polmoni dovesse filtrare attraverso un lenzuolo bagnato. Fortunatamente (ma non di fortuna si tratta, bensì di una buona scelta) nel mese in cui la calura è più pesante gli alunni vengono liberati dall’incombenza scolastica, che un loro sacrificio si rivelerebbe ben poco fruttuoso. In quel mese noi insegnanti non cessiamo di lavorare, o di recarci a scuola, ma lo facciamo senza necessità di riguardo verso un orario imposto, in questo senso il nostro lavoro, pur momentaneamente privato di quel rapporto coi fanciulli che ne è il centro e la ragione, diviene più libero, e per questo in qualche misura più adatto alla natura umana.
In questo luglio le occupazioni di un’insegnante a Parigi non differiscono da quelle degli altri anni, ma i suoi pensieri sì, e non in piccola misura, anche se è uguale a sempre la protervia del potere, che discende su di noi attraverso i tribunali ancor più che attraverso la polizia. Così quei tribunali che ieri l’altro avevano assolto Pietro Bonaparte dall’omicidio di Victor Noir, ignorando le testimonianze di chi era presente al fatto, ieri a Blois hanno condannato tanti innocenti per via delle macchinazioni di Guerin, uomo di un’infamia che non sono capace di descrivere, e domani perseguiteranno qualcun altro per qualche altra fandonia. Perciò per noi ogni giorno è lotta per opporci alle cariche con cui si cerca di spazzarci via, ed in questo ogni luglio è uguale ad ogni altro, e ad ogni altro mese dell’anno, ma in questo luglio del milleottocentosettanta si ha la sensazione che qualcosa di grande stia per accadere. Qualcosa di orrendo, forse, o forse di meraviglioso, ma qualcosa che ogni uomo ed ogni donna dotato di sentimento percepisce con una forza tale da sentirsi scosso nelle interiora. Ance se voci in tal senso si sentono per la via nessuno di noi arriva a pensare assurdità quali credere che se vi sarà la guerra con la Prussia sarà la prima, o l’ultima, del suo genere, ma nondimeno nessuno può negare che questa guerra, se inizierà, verrà a calarsi su due popoli che rispetto al passato non sono più distanti, ma uniti dal legame di una fraternità che è sempre esistita, ma che fino a non molti anni fa non si era in grado di riconoscere. Oggi invece la si vede, la si conosce, ne si parla, ed esiste persino un’associazione che, fino dal nome, la rappresenta, e a nulla vale che questa associazione l’uomo di dicembre l’abbia fatta mettere fuorilegge dai suoi tribunali, l’Internazionale non è meno reale perché lo stato nega il suo esistere, fallendo finanche nel negarlo giacché, continuamente, si ritrova a processarne i membri, riconoscendo così la sua esistenza. Ai servi delle istituzioni vengono dati poteri tali da poter spezzare delle vite, e questo li fa cadere nell’errore di credersi capaci piegare le volontà e cancellare le idee. Un errore questo che contiamo di fargli pagar molto caro, il più presto possibile.
Così, nelle attività di ogni giorno, un pensiero è costante. Più di un pensiero, un’urgenza. Mentre si correggono i compiti, mentre si catalogano i libri della biblioteca, mentre si verificano le necessità per poi provvedere agli acquisti, mentre si studiano le nuove teorie su come meglio aiutare gli allievi nell’apprendimento, sempre sullo sfondo incombe la possibilità che vi sia un conflitto, e che questo divenga onnipresente, che assorba in se ogni altra cosa.
Sono giorni frenetici. Gli internazionalisti francesi scrivono ai compagni prussiani dichiarando la follia della guerra, e da questi ricevono identica risposta. «Solennemente vi promettiamo che né rullo di tamburi, né rombar di cannone, né vittorie, né disfatte ci distrarranno dal nostro lavoro per la unione dei proletari di tutto il mondo». Così scrivono nella loro missiva, e non vi è ragione di dubitare della saldezza delle loro intenzioni, solo si può temere che la loro forza sia sufficiente a fermare la follia degli imperatori.
E anche chi è privo di un’organizzazione non per questo mette meno impegno nella lotta. Non si dà giorno senza che le strade di Parigi siano percorse da chi reclama pace, e non vi è dubbio che se fosse il popolo a decidere la guerra non si farebbe. Ma non è il popolo a decidere, bensì Bonaparte, e i banchieri suoi creditori. Uomini come Jeker, che già si era arricchito con la disastrosa guerra in Messico, ed ora spera di potersi maggiormente arricchire con un disastro più grande. Uomini capaci di misurare il valore, anche quello della vita, solo in franchi, o marchi, o sterline, uomini freddamente meccanici fino nelle loro passioni.
Non è il popolo a decidere oggi, ma presto lo sarà. L’unico, grande, dubbio, il solo, enorme, timore, è che questo non avvenga in tempo per impedire la carneficina, che è problema grave ed incombente. Per questo ogni giorno rubo alla scuola qualche minuto in più per riflettere su come si possano accelerare le cose, su come si possano abbreviare i mesi a settimane, e nello stesso tempo mi angoscio per la possibilità che non ci siano date nemmeno le settimane. Purtroppo nessuno di noi conosce quanto tempo si abbia a disposizione per il nostro difficile compito, ma in tutta Parigi si sente il crescere di una forza come non ho mai visto, e come persone più anziane di me dicono di non vedere dal quarantotto. E allora bando ad ogni esitazione: se questo vento soffia anche noi dobbiamo soffiare con quanto fiato abbiamo in corpo, soffiare fino a spezzare l’immobilità dell’aria, fino a causare la fine di questo opprimente luglio.

10 luglio frecciaDx