Un piccolo esperimento rosso come una ciliegia

Voglio fare un piccolo esperimento. Già da un po’ di tempo si stanno diffondendo le ‘dirette dal passato’, blog o account twitter che raccontano passo per passo un evento storico, ad n anni esatti dal suo verificarsi, come se fosse in corso oggi. Io voglio provare a raccontare un evento (la comune di Parigi del 1871) attraverso una fiction, con voci narranti contemporanee ai fatti e suddivisa per giorni, pubblicando ogni capitolo nella data in cui fatti avvengono, o in quello in cui la voce narrante li racconta, forzando in questo modo il tempo della lettura ad avvicinarsi ai tempi di svolgimento.
Come tutte le cose anche la Comune non nasce dal niente, e non si può raccontarla senza un prima. Quanto prima si debba partire è sempre opinabile, ma nel caso della Comune è evidente che non si può prescindere dalla guerra Franco-Prussiana, quindi io ho deciso di mettere il mio inizio il 5 luglio (e poi ho deciso di mettere prima di quell’inizio un prologo), come molto spesso accade le cose partono lentamente e poi accellerano, non stupitevi quindi se i primi post saranno più diradati e gli ultimi più vicini fra loro.
La storia è divisa su 57 giornate, più il prologo che non ha una data. Oggi pubblico proprio il prologo, le giornate seguiranno, alla fine di ogni post indico la data della pubblicazione successiva.
Buona lettura, e vediamo come funziona l’esperimento.

Rossa come una ciliegia

Prologo

All’inizio c’è solo la notte, con qualche piccolo e pallido bagliore ai margini, verso il basso. Nessun suono all’inizio, nessun movimento, in un secondo tempo lo sguardo si abbassa e vi entrano le case e le loro luci fioche, ma sono molte meno di quante dovrebbero. Infine la visione giunge a livello terra, ora si può riconoscere anche il punto di vista: quella che sta vedendo è la strada dove abita, anche se sembra in qualche modo diversa, e non solo perché più buia.
L’immagine è sempre quieta, anche se non più del tutto immobile, poche figure scivolano in lontananza rasentando i muri, camuffandosi nella propria ombra. Non è però con gli occhi che si percepisce il dolore in questa notte, per percepirlo servono le orecchie, e non lo colgono come un frastuono, come ti potresti aspettare, ma piuttosto come lamenti, come brevi e deboli grida di rabbia. Lo colgono soprattutto nel silenzio che ovatta i pochi suoni. L’immagine ora avanza in direzione delle mura che, anche senza vederlo, sa essere nascoste dietro alle case. Avanza lentamente, dubbiosa e oscillante tra i due lati della strada, cercando di sbirciare attraverso le finestre o le porte socchiuse, soprattutto attraverso quelle da cui non escono voci. L’immagine avanza ancora, nella notte, nella strada quasi vuota. I movimenti affrettati delle poche figure in lontananza gli comunicano ulteriore oppressione. Poco più avanti, sulla sinistra, c’è una delle poche finestre illuminate, smettendo di ascoltare le case buie punta su quella. Le si avvicina mantenendosi nel centro della strada, sempre preoccupato di non farsi scorgere, e sbircia all’interno. Seduta a tavola c’è una famiglia composta da papà, mamma e tre figli. Sul lato lungo del tavolo, di fronte a lui, un ragazzo sorride affondando il cucchiaio nella sua ciotola e portandolo alla bocca; i due genitori, a capotavola, sembrano anche loro sorridere, anche se in modo più contenuto, mentre si scambiano uno sguardo complice. Delle due bimbe Nicolas non può vedere il volto, sono sedute dandogli le spalle, ma il movimento con cui una di loro solleva la ciotola per chiedere altra zuppa ha un che di gioioso. La donna si alza, si sporge sul tavolo e impugna il mestolo per servire la figlia; assomiglia molto alla madre di Nicolas, anche se pare più magra e forse un po’ più vecchia. Mentre inclina la pentola per raccoglierne meglio il contenuto lui si avvicina alla finestra, mosso dal bisogno di vedere anche i dettagli, anche a rischio di essere notato. Col volto a pochi centimetri dal vetro ora guarda il mestolo sollevarsi, dall’orlo sporge un filamento bianco-rosato dall’impressione nodosa. Il filamento, assieme al resto del contenuto, finisce nella ciotola che la bimba riporta sul tavolo con un gesto possessivo; nel frattempo la sorella porge a sua volta la propria.
Ora si sposta, cercando un angolo diverso, che dalla finestra gli permetta di far scorrere lo sguardo sul resto della stanza, e metro a metro perlustra il tavolo, le pareti quasi spoglie, il lavello, la dispensa, la madia. Sulla madia c’è un piccolo ritaglio di pelliccia, largo poco più di un palmo, di un colore tra il grigio e il marroncino. La pelliccia è sporca di qualcosa che potrebbe essere fango, ma anche di molte altre cose, alcune delle quali somigliano a resti di cibo, come se quello scampolo fosse finito dentro alla fogna . Nicolas continua a fissare quella pelliccia, e quello sporco, li scruta a lungo per carpire il loro segreto e poi, all’improvviso, li collega al filamento, e capisce, ed è allora che parte il suo urlo, a distruggere quell’oppressione di silenzio e penombra.

5 luglio frecciaDx