#RossaComeUnaCiliegia – giorno IV

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frecciaSx 20 luglio

Parigi, 18 agosto 1870

«Papà!»
Pierre si voltò verso il viso di bambina che si sporgeva dall’ingresso.
«Si, Fanny?»
«Mamma dice che è ora di mangiare»
«Va bene, aspettaci che torniamo a casa insieme. Nicolas, lascia stare, lo finisci domani quel paio»
«Va bene papà»
Pierre chiuse la finestrella, lasciò che i figli uscissero in strada, poi li seguì chiudendo la porta della bottega.
Da qualche giorno il lavoro era aumentato, tanto che aveva dovuto far venire Nicolas a dargli una mano per tutta la giornata, anche se non gli piaceva costringerlo a stare con lui in bottega: Nicolas era intelligente, e il suo lavoro doveva essere studiare, e quando non studiava riposare. Però anche con il suo aiuto le scarpe si stavano accumulando, se non avesse avuto con sé il figlio Pierre sarebbe stato costretto a rifiutare dei clienti, e quindi dei guadagni, e quei soldi potevano essere importanti, specialmente pensando al sogno che aveva fatto il ragazzo. Gli venne da pensare che in fondo Nicolas stesso era la causa della propria pena, ma subito si pentì di quel pensiero. Non era colpa di suo figlio se aveva fatto quel sogno, forse non era in assoluto una colpa: era possibile che quel sogno avrebbe permesso loro di sopravvivere all’assedio, o di farlo un po’ meglio, con meno sofferenze.
Guardò il ragazzo. La sorella cercava di farlo correre, o giocare, ma lui rispondeva con pesantezza, stanco. In bottega Nicolas era un grosso aiuto. Certo, non si poteva fargli fare il lavoro vero e proprio, per quello Pierre avrebbe avuto dovuto avere il tempo per insegnargli, per guidarlo nei primi pezzi, ma in quei giorni proprio non avrebbe saputo dove trovarlo. Però il ragazzo sbrigava tutte le mansioni di contorno, che erano le più noiose, e lo faceva senza lamentele. Puliva le scarpe dal fango, toglieva i resti delle cuciture da sostituire, riordinava spago, aghi e tutti gli attrezzi, consegnava le scarpe finite ai clienti, ed era più sicuro di lui nel fare i conti. Era l’aiutante perfetto, e Pierre si trovava spesso a dover respingere la tentazione di tenerlo in bottega anche dopo che fosse passata quell’ondata. Per fortuna quando fosse ricominciata la scuola la tentazione sarebbe svanita necessariamente da sola.
E poi chissà in che situazione si sarebbero trovati di lì a qualche settimana. La sera prima, in osteria, c’erano state accanite discussioni sull’andamento della guerra, discussioni dalle quali nessuno avrebbe potuto farsi un’idea di come stessero veramente le cose. Una fazione riferiva notizie che dicendo che il governo cercava di tenere segrete, l’altra obiettava che se il governo avesse davvero voluto tenerle segrete loro non sarebbero riusciti a saperle. Ascoltando il loro dibattere Pierre sarebbe stato più propenso a credere ai secondi, ma c’era il sogno di Nicolas a bilanciare le sue sensazioni.
Arrivati a casa si misero subito a tavola, dove le bambine monopolizzarono la conversazione con il racconto della loro giornata, mentre Nicolas interveniva solo ogni tanto, in modo brusco. Era evidente che gli dava fastidio passare tutte le sue vacanze in bottega, mentre le sue sorelle scorrazzavano in giro per il quartiere, e Pierre non era meno dispiaciuto di lui. D’altra parte entro un paio d’anni il ragazzo avrebbe concluso le scuole, e con quelle sarebbero finite anche le vacanze estive, quindi forse gli faceva bene iniziare ad adattarsi. Era anche vero però che il fatto che di quelle occasioni gliene fossero rimaste così poche rendeva più duro rinunciarvi. Da qualunque angolo la si guardasse, la situazione era spiacevole.
Appena vuotati i piatti Claire e Fanny chiesero il permesso di tornare fuori a giocare. Margot guardò dalla finestra, e vide che il sole arrivava ancora sulle facciate dall’altra parte della strada.
«D’accordo ,» disse alle bambine «ma appena tramonta dovete tornare di corsa a casa»
A quelle parole le due si dileguarono in un attimo, vedendole sparire Nicolas si affrettò a finire anche il suo piatto e rincorrerle. Prima di arrivare in strada ebbe il tempo di urlare. «Vado anch’io, torno appena tramonta»
Margot e Pierre si sorrisero.
«Poverino,» disse lei «tutto il giorno in bottega mentre le sue sorelle sono a giocare»
«Ci stavo pensando anch’io. Stasera tornando a casa mi è sembrato molto stanco»
«Forse dovresti fargli fare solo mezza giornata»
«Io non vorrei farlo lavorare, ma continuano ad arrivare così tante scarpe… E dopo il suo sogno non me la sento di rifiutare clienti»
«Se ci sarà un assedio i prezzi saliranno così tanto che tutti i soldi che puoi guadagnare col tuo lavoro non serviranno a molto»
«Però con quelli che riusciamo ad avere adesso possiamo fare delle scorte, mentre i prezzi sono ancora bassi»
«E’ dal giorno dopo il sogno di Nicolas che ho iniziato a comprare un po’ di più e mettere da parte. Ultimamente però mi sembra che lo stiano facendo anche altri»
«C’è tanta gente che pensa che le cose all’est stiano andando male»
«Li hai sentiti ieri, in osteria?»
«Si»
«E che dicevano?»
«Che gli annunci del governo sono tutti finti. Che il nostro esercito non solo non ha mai passato il Reno, ma sta arretrando. Alcuni dicevano che Strasburgo è già sotto assedio, altri che ormai è assediata anche Metz, che Bazaine e MacMahon hanno paura di prendere qualunque decisione, e che ai soldati manca tutto»
«Cosa vuol dire che manca tutto?»
«Che mancano le munizioni per i cannoni, e a volte anche per i fucili. Che mancano gli stivali, e che non tutti i giorni arrivano i pasti»
«Ma i treni da Parigi continuano a partire pieni di tutto»
«Non so, forse questi esagerano. Qualcuno di sicuro. Ieri uno raccontava di un generale che era andato a Metz con il treno, ma una volta arrivato là non è riuscito a trovare i suoi soldati, e ha dovuto telegrafare a Parigi perché gli dicessero cosa fare»
«Bé, questa mi sembra davvero troppo grossa»
«Anche a me, però non credo neanche che le cose vadano bene come dice il governo. Chissà, forse senza il sogno di Nicolas ci avrei creduto, però ora dubito di ogni notizia che sento»
«Ed erano tutti convinti che il governo stia mentendo?»
«No, molti gli credono. C’è stata una grossa discussione ieri, qualcuno che raccontava le cose che ti ho detto prima, ed altri che chiedevano loro come facessero a saperle»
«C’è da dare di matto. Come si fa a capire chi ha ragione?»
«Non lo so. Di certo non si capiva ieri, con tutto quello strillare»
«Ma c’è qualcuno di cui ti fidi?»
«Di quelli dell’osteria?»
«Si»
«Di cui mi fiderei se dovessi chiedergli un favore si, ma non credo che ne sappiano davvero qualcosa della guerra. E’ più facile che si capisca qualcosa in bottega, magari parlando con chi porta a risuolare le scarpe invernali ad agosto. Però per ora credo che siano venuti solo i più fifoni, o quelli che vedono sempre tutto nero»
«Ce ne sono tanti, allora, di fifoni»
«Sì» rispose lui, e per un attimo sorrise, ma quando tornò a parlare il tono era nuovamente preoccupato.
«Non credo sia questo il quartiere in cui si possono sapere queste cose, bisognerebbe vivere a boulevard Saint Germain»
«Eppure secondo me qualcuno che sa cosa sta succedendo lo trovi anche a Belleville, magari non in osteria»
«E dove?»
«Nei club»
«Nei club?» Pierre storse la bocca
«Sì»
«Non credo Margot. Nei club c’è gente con una buona lingua, magari anche con delle belle idee, ma non gente che può avere le conoscenze per sapere queste cose»
«Non possono conoscere dei generali, e forse non conoscono nemmeno dei soldati, ma sono persone che viaggiano. Io dico che possono conoscere qualcuno a Metz, o a Strasburgo, e avere notizie da loro»
Pierre la fissò. Non era ancora convinto, ma non era nemmeno così certo che fosse un’idea stupida.
«Sai quando c’è una riunione del club di Belleville?»
«Dopodomani»
«Se sei così informata vuol dire che avevi già deciso che ci saremmo andati, vero?»
Margot non rispose, ma il suo sguardo equivaleva ad un si.

22 agosto frecciaDx