#RossaComeUnaCiliegia – giorno VII

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frecciaSx 4 settembre

Parigi, 7 settembre 1870

L’atmosfera del club non era mai stata quieta. Per certi versi era come un’osteria, ma le persone erano cinque volte tante, e se le loro opinioni erano meno dissimili tra di loro di quanto potessero essere quelle degli avventori della “Botte d’oro”, non era certo dal tono delle discussioni che lo si sarebbe potuto capire. E le donne non erano da meno degli uomini. Anche se sapeva che ve ne avrebbe trovate, da principio Pierre si stupì di vederne così tante da costituire quasi metà dell’assemblea, e ancora di più del numero lo sorprendevano la veemenza e l’immediatezza dei loro discorsi. Abituato com’era al modo di Margot di girar attorno ai problemi per poi arrivarci da una direzione inattesa rimaneva attonito davanti a quell’assalto frontale.
Quando le aveva raccontato la prima riunione a cui aveva partecipato lei aveva subito risposto che alla successiva ci sarebbero andati insieme, e per una volta l’aveva fatto nel modo più diretto possibile, senza giri di parole, con una fermezza che l’aveva sorpreso. Non che gli desse fastidio la presenza di sua moglie, solo non gli sembrava una buona idea. Però, per quanto ci pensasse, non riusciva a spiegarsi il perché, quindi alla fine acconsentì, sentendosi ridicolo nel dare un’approvazione che lei non aveva chiesto e che con tutta probabilità non avrebbe neanche atteso di avere.
Pierre era venuto alla sua prima riunione del club in cerca di notizie sicure sull’andamento della guerra, e non ne aveva avute, aveva però sentito la voglia di tornare lì, a sentire quegli uomini e quelle donne discutere con animazione, in un modo che gli era estraneo ma che nondimeno lo attraeva. E ancora più forte era stata l’attrazione provata la volta seguente da Margot, con la differenza che lei, fin dalla sua prima apparizione, anziché limitarsi ad ascoltare si era lanciata in un battibecco con alcuni dei presenti.
Erano andati insieme al club due volte, ma una volta capito che avevano entrambi tutte le intenzioni di continuare a frequentare quelle riunioni, decisero che avrebbero fatto meglio ad andare a turno, in modo che qualcuno restasse a casa con i bambini. Per quelle due volte Nicolas era stato incaricato di badare alle sorelline, ma non volevano imporgli altri obblighi dopo averlo tenuto per quasi tutta l’estate a fare da aiutante in bottega. Quella sera però avevano deciso di fare un’eccezione, e chiedere a Nicolas ancora uno sforzo. Le novità degli ultimi giorni erano tanto forti da convincerli che era necessario essere presenti entrambi. Tre giorni prima la notizia dell’abdicazione di Luigi Bonaparte era giunta a Parigi e si era diffusa in tutti i quartieri, mescolandosi con quella della proclamazione della repubblica, con quella della nomina di Trochou a capo militare di Parigi, e con voci non altrettanto certe sull’andamento della guerra, sugli assedi di Metz e Strasburgo e sull’avanzata prussiana verso la capitale. Avanzata difficile da misurare ma innegabile, come si capiva anche dal fervere dei preparativi per la difesa della città. L’accavallarsi di tutte queste notizie aveva incendiato gli animi, e il giorno dopo la nomina di Trochou si era costituito un comitato centrale in cui si riunivano i rappresentanti dei venti arrondissement. Rappresentanti nominati dai club, non dalle istituzioni.
Contemporaneamente la guardia civile aveva aperto gli arruolamenti e i volontari facevano la fila per registrarsi, non solo per i trentacinque luigi della diaria. Pierre non si era unito a loro, la sua naturale prudenza lo aveva tenuto lontano dagli uffici di reclutamento, ma non aveva calmato la sensazione che lo spingeva in quella direzione e che lo portava a sentirsi un codardo ogni volta che rimandava. E non cambiava le cose il fatto che la sua paura, più per che per se stesso, fosse per quanto sarebbe potuto accadere alla sua famiglia se lui fosse morto.
Quella sera era la prima riunione del club sotto la repubblica. Per le strade l’impressione era che le cose stessero instradandosi, quasi da sole, nel migliore dei modi, per questo in molti erano venuti più per festeggiare che per discutere del futuro. Non tutti però, e questo aveva acceso la miccia; un certo Gouvernie, che non conoscevano, e Pillon guidavano le due opposte fazioni.
«Dunque per voi non vale niente l’abdicazione dell’aguzzino?» diceva il primo «Avete forse dimenticato di come, meno di due mesi or sono, abbia tentato di far assassinare Rochefort, per zittire il suo giornale che ripetutamente lo sbugiardava? Avete forse dimenticato che, sebbene Rochefort ne sia uscito incolume, nell’agguato è perito il buon Vittorio Noir, e che egli non è stato che una delle vittime di quel mostro?»
«Io non dimentico nulla,» rispondeva l’altro «ed auguro a Bonaparte la più misera delle morti nella più fetida delle galere prussiane; ma non è di lui e del passato che dobbiamo occuparci, bensì di noi e del presente. E nel presente siamo sotto il comando di uno dei generali che lo servivano»
«Lo serviva, è vero, ma tranne pochi coraggiosi, tra cui, lo riconosco, voi, tutti lo abbiamo dovuto servire, volenti o nolenti. E io non credo che Trochou fosse più felice di me di doverlo fare. Quanto poi al fatto che sia un militare, vi do ragione, non è l’uomo che vorrei a guidare la Repubblica in tempo di pace, ma noi non siamo in tempo di pace. L’esercito prussiano avanza, la stupidità di Bonaparte gli ha spalancato la via di Parigi; sarà difficile fermarli, e non lo si potrà fare senza l’aiuto del popolo, ma non lo si potrà fare nemmeno senza la guida di qualcuno che abbia una conoscenza della guerra quale non abbiamo né io né voi, né nessuno dei presenti, e quale non hanno nemmeno Rochefort, o Delescluze, o Blanqui. Oggi ci serve un militare, e non vedo in cosa un Ducrot, un MacMahon o un Bazaine, quand’anche fossero a Parigi, potrebbero essere migliori di Trochou»
«Non ho mai detto di preferire il governo di un MacMahon o di un Bazaine a quello presente, tutte e tre le possibilità mi fanno orrore. E non pretendo di sapere se quando Trochou ubbidiva agli ordini di colui che si faceva chiamare imperatore lo faceva controvoglia o con piacere, so però che lo faceva con zelo, e che mai si è sentita la sua voce criticare le scelte di Bonaparte, anche le più criminali o le più suicide. Può darsi che il nostro nuovo comandante non sia una cattiva persona, ma io, per essere convinto che l’impero sia realmente finito, e che non sia cambiato solo l’uomo che si attribuisce quel titolo, aspetto che il comando passi a qualcuno che sotto l’autorità imperiale non abbia impartito ordini»
«Allora, caro Pillon, dovrete attendere a lungo. Gli uomini capaci di dirigere uno stato, ancor più in tempi tremendi come questi, non nascono come le margherite nei campi, o le ciliegie sui rami. A quei pochi si appoggiava Bonaparte, a quei pochi, con qualche aggiunta e qualche esclusione, dovremo affidarci noi»
Tutto lo scambio di battute aveva galleggiato sul rumore di fondo dei battibecchi tra gli esponenti delle due fazioni, ma dopo l’ultima frase di Guovernie troppe voci si erano sovrapposte, e la discussione si era persa in ondate di accuse che spazzavano la sala in ogni direzione. Solo dopo molti minuti qualcuno finalmente riuscì a riportare l’assemblea alla calma, nel frattempo il discorso si era spostato sugli arruolamenti della guardia nazionale.
«Credo che nessuno qui dubiti del fatto che i tedeschi arriveranno a Parigi» disse questi «E, con il grosso dell’esercito bloccato a Strasburgo e a Metz, solo la guardia nazionale può difendere la città»
Qualcuno dal fondo della sala provò ad obiettare che forse si poteva tentare qualcosa di diverso da una difesa armata, ma fu subito zittito da quelli che gli stavano vicino.
«Sono d’accordo che si debba difendere Parigi,» ribattè qualcun altro «ma perché entrare nella guardia nazionale, mettendosi agli ordini di chissà chi?»
«Perché le armi per difendere Parigi noi non le abbiamo, la guardia sì»
«Potremmo prendercele, le armi, e poi usarle per difenderci, senza ubbidire agli ordini di nessuno»
«Ma senza neanche avere un’organizzazione»
«E poi, in quanti saremmo ad andare a prendere le armi?»
«Io credo in molti»
«Ma certo molti meno di quanti potremmo essere arruolandoci tutti insieme. Se saremo abbastanza la faremo diventare la nostra guardia nazionale, non più quella dei nobili, o dei ricchi»
«E poi non tutti sanno usare un fucile»
«Ci istruiremo tra di noi»
«E in questo modo oltre che contro i prussiani dovremo combattere anche contro il resto del nostro esercito. O forse pensate che il governo non avrà nulla da ridire se ci prendiamo le armi e le usiamo a nostro piacimento?»
«E i cannoni? Come li porteresti via i cannoni?»
La discussione andava nuovamente disperdendosi, ma era chiaro che l’ipotesi di armarsi ed organizzarsi in proprio era in netta minoranza. Qualcuno passò a proporre un cambio di gerarchia e regolamento all’interno della guardia nazionale, altri gli fecero notare che la sua nomina a ministro non era ancora arrivata, e le risate frammentarono definitivamente la discussione. A quel punto Pierre e Margot decisero che era ora di tornare a casa.
«Vorrei potermi arruolare anch’io nella guardia» disse lei lungo la strada. Pierre incassò quella frase come una critica, e cercò di scusarsi.
«Io ci ho pensato tante volte, però quel che diceva quell’uomo circa l’esser comandati da chissà chi è vero, e mi preoccupa. Capisco che serva dell’ordine, ma vorrei almeno poter scegliere chi mi comanda. Se la mia vita dipenderà da lui, che almeno sia una persona di cui mi fido»
Margot annuì. Proseguirono per qualche passo in silenzio, poi lei riprese.
«Se non posso entrare nella guardia, posso però prestare servizio in un’ambulanza. Di sicuro ne organizzeranno qualcuna»
«E’ una buona idea. Temo ci sarà molto da fare per le ambulanze nei prossimi mesi»
«Si, non sarà un periodo in cui si potrà stare con le mani in mano, o chiudersi dentro casa, o in bottega»
«No, non si potrà» convenne Pierre guardandola dal basso in alto, a dispetto della reciproca altezza. Quello che Margot voleva da lui gli era chiaro, ed era ragionevole. Non c’era nessuna possibile obiezione, tranne la sua paura, e nemmeno a lui pareva un’obiezione valida.
«Forse anch’io farei meglio ad arruolarmi nella guardia nazionale» disse «Appena avrò finito le scarpe che ho in bottega»
Margot gli prese la mano, sorridendo di quel suo infantile prendere tempo, ma soprattutto sorridendo perché Pierre si era deciso. Parigi non poteva fare a meno di nessuno dei suoi uomini validi.

13 settembre frecciaDx