#RossaComeUnaCiliegia – giorno X

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frecciaSx 20 settembre

Parigi, 23 settembre 1870

Nicolas era travolto dalle sensazioni. La prima, la più forte, era l’attesa. L’attesa per la magia, per il desiderio di vedere quella sfida, in cui pure già sapeva chi avrebbe vinto, la voglia di vedere l’uomo piegare le leggi della natura, trovando il modo di sgusciare in qualcuna delle pieghe che queste leggi concedevano, di sfruttare qualche passaggio, ovviamente difficile, altrimenti lo avrebbero percorso tutti, ma possibile, almeno per qualcuno. Già dalla mattina si era svegliato dominato dall’attesa di quel miracolo, come lo definivano alcuni, o di quel gioco di prestigio, come lo vedeva lui, quasi con l’ansia di poter partecipare. Almeno guardando, almeno incitando. Era stato con un po’ di stupore che, durante la colazione, gli era sembrato di avvertire un’ansia simile in tutti i suoi famigliari. Dalle sorelle se lo poteva aspettare, per loro il fascino della magia era sicuramente ancora più forte di quanto fosse per lui, ma vedere anche nel papà e nella mamma un’uguale attesa lo sorprese. Durante la lunga passeggiata da Belleville a Montmartre, però, mano a mano che le persone che si muovevano nella loro stessa direzione aumentavano fino a divenire un solo flusso che convergeva verso un unico punto, Nicolas si era reso progressivamente conto del fatto che tutti i presenti nutrivano la stessa sensazione di attesa, e aveva notato che tutte queste aspettative sembravano rimbalzare da una persona all’altra accrescendosi come un’eco, fino a divenire una gigantesca, muta invocazione.
La seconda sensazione era quella della pressione fisica della folla attorno a sé, gli scossoni del suo muovere disordinato e lentamente impetuoso che rischiava di portarlo alla deriva, lontano dai suoi famigliari, da sua madre che teneva per mano Fanny, e da suo padre con sulle spalle la piccola Claire che, beata lei, era l’unica ad avere una buona visibilità. E che infatti veniva usata come vedetta, ruolo che pareva divertirla molto. La pressione era anche visiva; quel muro, certo non compatto ma comunque opaco, nascondeva alla sua vista quasi ogni cosa. Poco prima, addirittura, era bastato che per un attimo un gruppo di persone fosse passato tra lui ed i suoi genitori per fargli perdere le loro tracce, e solo la vista di sua sorella, alta sopra le teste, gli aveva permesso di ricongiungersi con loro.
La terza sensazione era il caldo di quella giornata di settembre, aumentato dalla calca e dalla fatica di quella lunga camminata. Lunga, se non in chilometri, sicuramente in ore, tanto lunga che la fatica a tratti offuscava il desiderio di esserci, di vedere. Non in quel momento però, non quando, finalmente, riusciva a scorgere sopra alle teste la collina di Montmartre, loro destinazione. Ancora pochi minuti di cammino, ammesso che camminare fosse il termine giusto per descrivere quel trascinio di piedi, e gli riuscì di scorgere sulle pendici della collina una folla ancor più fitta di quella, ormai quasi ferma, in cui si trovava in boulevard de la Chapelle. Si chiese come avrebbero fatto a salire: a prima vista pareva un’impresa disperata. Guardò i suoi genitori, ma non gli sembrava che avessero un piano per avanzare, evidentemente quella calca li sorprendeva quanto aveva sorpreso lui. Ma allora si sarebbe perso il decollo? Dopo tutta quell’attesa e quel caldo non gli pareva possibile. Pensò che il problema era il loro essere un gruppo troppo numeroso, e che se aveva ragione allora era un problema che poteva risolvere. Chiamò suo padre e gli chiese se poteva andare avanti da solo. Lo vide voltarsi verso sua madre, e percepì nei loro sguardi una discussione silenziosa; gli sembrò di capire che Pierre fosse più disposto a concedergli quella libertà, Margot più ritrosa, ma il tutto durò pochi istanti, poi evidentemente suo padre ebbe la meglio perché si girò verso di lui e gli chiese se era sicuro di sapere la strada per tornare a casa.
«Boulevard de la Chapelle, boulevard Vertus, boulevard de la Villette, rue Fessart» rispose orgoglioso. Suo padre annuì soddisfatto, e gli disse che poteva andare, purché stesse attento. Nicolas gli rispose di stare tranquillo, finendo la frase mentre già era tre file più avanti.
Come tutta la famiglia era di piccola statura. Di solito questo gli faceva rabbia, ma in quel momento, invece, gli tornava molto utile, perché gli adulti sono sempre molto meglio disposti verso un bambino che non verso un ragazzo, e per questo la sua bassa statura lo aiutava a fendere la folla. Chiedendo permesso, sgusciando, qualche volta anche spingendo, si trovò in boulevard de Rochechouart, nel punto in cui una strada laterale se ne staccava per salire verso place St. Pierre, che si intuiva essere l’epicentro dell’attenzione. La distanza era già molto più accettabile di quella del punto dove aveva lasciato i suoi, ma di nuovo la statura tornava a giocargli contro, nascondendogli la vista dietro un sipario di schiene. Doveva andare più avanti, la calca però era troppa per proseguire con gli stessi metodi usati per arrivare fin lì, bisognava trovare un’altra via per salire, ma lui non conosceva Montmartre, e non sapeva come muoversi, se esistesse un percorso alternativo.
Mentre rifletteva la folla ebbe un ondeggiamento, sospingendolo verso la parete di una casa. Sentì una voce, a pochi metri di distanza ripetere più volte «Largo alla posta», e vide un uomo, scortato da due guardie, avanzare con un grosso sacco sulle spalle. Staccatosi dalla parete si divincolò verso il centro della via e vi arrivò appena prima dei tre uomini che stavano fendendo la calca, e con uno scatto si mise alla testa del piccolo corteo, urlando a sua volta
«Fate largo, largo alla posta»
Sentì dietro di se delle risate, probabilmente di una delle due guardie, e una voce che diceva «Piccolo furfante», sicuramente parlando di lui, ma nessuno cercò di farlo scostare.
Arrivati in place St. Pierre si trovarono davanti una zona tenuta libera da alcuni soldati. Nicolas evitò di sfidare ulteriormente la sorte cercando di entrarvi, e preferì farsi da parte ed arrampicarsi un po’ sulla grondaia di una casa vicina. In pochi secondi riuscì a salire con i piedi su uno dei ferri che la assicuravano alla parete, a poco più di un metro da terra, e a trovarsi una posizione abbastanza stabile per potersi permettere di osservare la scena.
Al centro della piazza stava un’ampia cesta di vimini, legata con una moltitudine di corde ad una gigantesca sacca di tela, all’imbocco della quale era stato acceso un bruciatore a gas. Non gli riuscì di vedere la bombola che lo alimentava ma, seguendo il tubo che usciva dal bruciatore, dedusse che doveva trovarsi nella cesta. Nel momento in cui lui era entrato nella piazza, una parte della gigantesca sacca era già sollevata da terra, e gradualmente si andava gonfiando. Quando si fu completamente staccata dal terreno e cominciò a salire, dalla folla eruppe un boato di meraviglia; la sacca trascinò la cesta verso l’alto, ma solo per pochi centimetri, poi le funi si tesero e bloccarono la mongolfiera a mezz’aria.
A quel punto si avvicinò un gruppo di persone, tra queste tre colpirono l’ attenzione di Nicolas, due perché erano vestite con abiti decisamente troppo pesanti per il caldo di quella giornata, e la terza perché portava una divisa piena di decorazioni, e su di essa la fascia bianca rossa e blu, simbolo della repubblica. I due uomini troppo vestiti, con la fronte imperlata di sudore, si schierarono di fronte all’uomo con la fascia, Nicolas era troppo lontano per sentire se dicevano qualcosa, ma vide i tre scambiarsi un saluto militare. Subito dopo un soldato arrivò di corsa portando una scaletta, con l’aiuto della quale i due entrarono nella cesta, una volta che si furono sistemati dentro l’uomo con il sacco della posta si avvicinò e consegnò loro il proprio carico. In ogni gesto di ognuna delle persone coinvolte si avvertiva un senso di solennità.
Allontanatosi il postino arrivò un altro uomo, che salì a sua volta sulla scaletta, senza però entrare nell’abitacolo; da quella posizione sembrò dare istruzioni ai due passeggeri, indicando ora verso il bruciatore, ora verso il fondo della cesta, dove Nicolas non poteva vedere, finita la sua spiegazione strinse la mano ai due e tornò a terra. A questo punto si avvicinò di nuovo l’uomo con la fascia tricolore, e si ripeté il saluto militare, che questa volta però non si concluse rapidamente come il primo. Tutti e tre gli uomini mantennero la posizione, con la mano alla fronte, mentre quattro addetti liberavano le corde che trattenevano la navicella a terra, permettendo così alla mongolfiera di alzarsi.
Era salita forse solo di un metro quando uno scossone costrinse i due passeggeri ad abbandonare la loro posa per reggersi alle corde, ma l’uomo con la fascia rimase in posizione di saluto per tutto il tempo per cui Nicolas lo ebbe in vista, finché non lo perse per seguire con lo sguardo il volo del Neptune. Un volo che il vento aveva indirizzato proprio sopra alla sua testa, facendo sì che una delle funi che avevano tenuto l’aerostato ancorato a terra gli si appoggiasse addosso, ed iniziasse a scorrere verso l’alto, strisciandogli sul petto e su una spalla. Solleticato da quel contatto per un momento Nicolas ebbe l’istinto di aggrapparvisi, tolse una mano dalla grondaia e la portò fino a sentire la canapa carezzargli il palmo, incerto se restare a gustarsi quella sensazione o aggrapparsi e decollare per chissà dove. Gli sembrò di restare in quella posizione un’eternità, ma in realtà fu solo un’istante, poi fece la sua scelta, riportò la mano al suo appiglio originario e continuò a seguire con lo sguardo il volo del pallone. Nemmeno si accorse di quante bocche, sotto di lui, si erano spalancate temendo una sua pazzia, o del borbottio soddisfatto che accompagnò il suo desistere.
Anche senza accorgersi di quelle reazioni però, nei giorni successivi, ripensando a quei momenti si trovò d’accordo con quegli uomini nel giudicare sciocco il suo gesto. Non sarebbe certamente stato in grado di issarsi fino nella cesta, che ormai era molti metri più in alto di lui, né tantomeno di restare aggrappato a quella fune per tutte le ore del volo, ma nel momento in cui aveva accarezzato la corda nessuno di questi pensieri gli era venuto in mente, ed il motivo per cui aveva desistito era completamente diverso. La vera, l’unica ragione per cui aveva rinunciato alla possibilità di seguire il Neptune nel suo viaggio non era la paura dei pericoli che avrebbe corso, ma solo il timore di essere di intralcio a quell’eroica missione. Non avrebbe mai potuto perdonarsi se il primo viaggio del servizio postale aereo che partiva da Parigi per eludere l’assedio dei prussiani fosse fallito per colpa sua.

31 ottobrefrecciaDx