La frontiera nascosta

La prima volta in cui ho sentito nominare La frontiera nascosta avevo deciso di non leggerlo. Venivo da un periodo in cui avevo letto molto di Sepulveda, e il fatto che questa fosse una raccolta di racconti aveva molto intiepidito il mio interesse: le raccolte di racconti scollegati fra loro non mi hanno mai entusiasmato, e nemmeno il fatto che Le rose di Atacama fosse una felice eccezione a questa regola mi aveva indirizzato verso questa lettura.
Un paio di mesi fa, dopo la morte dello scrittore, avevo deciso di leggere qualcos’altro di suo, e mi ero imbattuto in una diversa recensione della Frontiera, che sottolineava il fatto che i racconti, sia pur indipendenti, fossero parte di un’unica storia, quella vera dell’esilio dello scrittore. Convinto da questa descrizione mi sono procurato il libro e l’ho letto, e come per tutti i migliori prodotti di Sepulveda sono arrivato alla fine attribuendogli un unico difetto: essere troppo corto. La brevità non gli impedisce però di descrivere benissimo le atmosfere dei vari momenti di questa storia, dalla prigionia e la tortura nelle prigioni del suo Cile fino al finale, lieto come tutti i finali di Sepulveda (credo che proprio l’essere riuscito ad uscire vivo dalle galere di Pinochet abbia avuto una grossa parte nel forgiare questo suo ottimismo, questa convinzione che anche dalla peggiore delle situazioni si possa uscire e tornare ad una vita piena come è stata la sua).
In conclusione, La frontiera scomparsa è uno splendido libro, e per me è stato il modo migliore di salutare una grande persona, e uno scrittore che mi ha dato tantissimo (ma i suoi libri non li ho ancora letti tutti, anche se ho un po’ di diffidenza verso i più recenti non escludo di reincontrarlo)